XX Congresso Cisl. Tavola rotonda ‘Lavoro, nuove tutele e partecipazione nell’era dell’intelligenza artificiale’. Fumarola: “Lavorare insieme a governo e forze sociali per un nuovo Statuto della Persona nel Mercato del Lavoro: formazione e partecipazione al centro dei diritti”

“Vorrei spendere queste parole introduttive iniziando dallo sfatare un mito: l’IA non è affatto il futuro. L’IA è ampiamente già il nostro presente“. Così Daniela Fumarola, Segretaria generale della Cisl, aprendo la tavola rotonda della terza giornata dell’assise confederale che ha visto la partecipazione di Alessandro Aresu, analista geopolitico ed esperto di strategie e politiche; Padre Paolo Benanti della Pontificia Università Gregoriana; Massimiliano Branchi, direttore delle risorse umane Saipem; Marina Calderone, Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali; Fabrizio D’Ascenzo, Presidente dell’INAIL; e l’intervento video di Alec Ross, tra i massimi esperti mondiali di digitale e IA. “Viviamo immersi in una rivoluzione digitale -prosegue- che l’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa ha accelerato e sta accelerando in modo formidabile, sia in termini di profondità che di pervasività. Un salto di qualità che desta insieme entusiasmi e timori, ed è giusto che sia così. Tuttavia, come ci ha insegnato Umberto Eco, il nostro è un Paese che spesso si polarizza in modo acritico tra apocalittici e integrati. Chi teme e sparge terrore per gli effetti sociali delle nuove tecnologie, e chi invece, altrettanto superficialmente vive nella certezza di un nuovo eldorado.

Ecco: la CISL crede che nessuno dei due estremi sia realistico, né utile. Dobbiamo analizzare il fenomeno con lucidità, riconoscendo il suo carattere di rottura rispetto al passato. Le precedenti ondate tecnologiche, dall’informatica all’automazione, incidevano soprattutto sui compiti ripetitivi e manuali, mentre questa nuova IA è in grado di svolgere anche mansioni a elevato contenuto cognitivo e creativo. Questo significa che nessuno – né l’operaio né l’impiegato laureato – è del tutto immune al cambiamento. Molti studi evidenziano che l’effetto dell’IA sul lavoro dipenderà da come la macchina si integra con la persona, e ciò varia da lavoro a lavoro. In ruoli molto complessi l’IA potrebbe essere solo uno strumento di supporto. In altri, più standardizzabili, potrebbe automatizzare ampie fasi. Quindi non è possibile dare un giudizio unico: non è né tutto rose né tutto spine. Di certo, però, una cosa è chiara: serviranno professionalità dinamiche e capacità di adattamento. Ogni lavoratore dovrà poter aggiornare le proprie competenze più volte nell’arco della vita lavorativa. E qui l’Italia purtroppo è indietro: i nostri sistemi di orientamento, formazione e ricollocamento sono ancora troppo deboli rispetto agli standard europei.

Dobbiamo investire molto di più sulle politiche attive del lavoro, sull’educazione permanente, sull’accompagnare le persone nelle transizioni lavorative. Un altro aspetto da considerare è l’effetto dell’IA sulla produttività. In teoria, l’adozione di sistemi “ad algoritmo generativo” dovrebbe far crescere la produttività del lavoro. Ma non è scontato: introdurre l’IA nei processi non equivale automaticamente a ridurre il tempo di lavoro umano necessario. Spesso queste tecnologie spostano il lavoro su nuove attività: servono, ad esempio, specialisti che controllino la qualità degli output, che gestiscano i dataset di addestramento, che verifichino gli aspetti legali o etici delle decisioni algoritmiche. Insomma, l’IA crea lavoro oltre che eliminarlo, ma si tratta di lavori diversi, per persone con competenze diverse. Anche per questo dobbiamo farci trovare preparati: se non investiamo nelle competenze, rischiamo che la produttività non cresca affatto e che i benefici dell’IA vadano solo a pochi.

La CISL si approccia a questa trasformazione con una visione ben definita: vogliamo un futuro del lavoro “antropocentrico”, verso un nuovo umanesimo dello sviluppo e del lavoro, in cui la tecnologia sia al servizio della persona e del benessere sociale, non viceversa. Significa cogliere le opportunità dell’innovazione tecnologica senza mai perdere di vista la dignità e la centralità del lavoratore. In concreto, il paradigma 5.0 implica aziende in cui l’IA e i dati digitali supportano le persone, liberandole dalle attività più monotone e lasciando spazio alla creatività, alla relazione, al valore aggiunto umano. Un’organizzazione del lavoro partecipativa, inclusiva ed etica, dove la produttività va di pari passo con la qualità della vita e la giustizia sociale.

È un modello ambizioso, certo, ma è quello a cui dobbiamo tendere se vogliamo che la tecnologia migliori davvero la società. Dobbiamo governare l’innovazione -e non subirla- attraverso la contrattazione, una legislazione che assegni alle relazioni industriali un forte potere regolatorio e che promuova ciò che secondo noi è la chiave di tutto. Bisogna che il mondo del lavoro entri nell’algoritmo attraverso le relazioni industriali. Contribuisca a costruirlo, a determinarlo, a porre forti condizionalità sociali, solidali, etiche. È fondamentale che la Politica e le parti sociali riprendano il controllo del timone. Non possiamo delegare il nostro futuro ai soli mercati o ai monopoli tech globali. Non vediamo ancora pienamente affermata questa consapevolezza nel DDL sull’IA e nella bozza di linee guida sull’intelligenza artificiale applicata al lavoro.  Oggi il settore dell’IA è dominato da pochissimi grandi attori multinazionali, nessuno europeo. Queste aziende – soprattutto statunitensi e cinesi – controllano sia lo sviluppo dei sistemi di IA più avanzati sia le piattaforme attraverso cui queste tecnologie vengono fornite al pubblico. Hanno risorse immense e un vantaggio competitivo difficile da colmare, perché chi possiede i big data e la potenza computazionale ha in mano le chiavi del settore. L’Europa sta cercando di regolamentare questo campo con l’AI Act, puntando a stabilire principi di trasparenza, sicurezza e correttezza nell’uso dell’IA. Ma non basta regolamentare. Bisogna anche investire per creare un’IA europea.

Siamo contenti che nei piani UE si parli di comuni banche dati e reti di ricerca sull’IA, di sostegno alle startup: l’Europa deve poter dire la sua, per evitare dipendenze strategiche. Ma non basta, serve anche un enorme sforzo di aggiornamento del nostro sistema di tutele del lavoro. Dobbiamo guardare avanti e inventare nuovi strumenti.

La CISL propone di lavorare, insieme a governo e forze sociali, per costruire finalmente un nuovo Statuto della Persona nel Mercato del Lavoro. Uno Statuto dei diritti universali che metta al centro la persona, a prescindere dal tipo di lavoro o contratto. Oggi la vita lavorativa è sempre più fatta di transizioni, di cambiamenti, di momenti di formazione, mobilità, rischio di disoccupazione temporanea. Occorre dunque uno Statuto che riconosca nuovi diritti, tutele aggiornate e garanzie fondamentali a tutti, indipendentemente dal fatto che si abbia un lavoro subordinato o autonomo. Diritti come il diritto alla salute e sicurezza, a una formazione continua lungo tutto l’arco della carriera, a una protezione sociale che assicuri continuità di reddito nelle transizioni. Insomma, un impianto normativo moderno che valorizzi la persona in tutte le fasi della sua vita professionale.

Significa anche costruire un modello di protezione sociale che accompagni i lavoratori nei momenti di transizione, anziché intervenire solo a posteriori in caso di disoccupazione di lunga durata. In pratica, se una persona perde il lavoro o vuole cambiarlo, deve esserci una rete di servizi che la aiuti subito: formazione mirata, orientamento, sostegno al reddito mentre cerca nuova occupazione, incentivi alle aziende che assumono lavoratori provenienti da altri settori. Un lavoratore non deve più sentirsi “abbandonato” se cambia mestiere o se l’azienda chiude; deve sapere che potrà contare su strumenti per rimettersi in gioco rapidamente. Proponiamo un cambio di paradigma importante: il welfare non più come sola assistenza passiva, ma come investimento in capacità e inclusione attiva. L’elemento che deve essere al centro di questo nuovo Statuto dei diritti è la partecipazione.

La partecipazione dei lavoratori non è solo uno strumento organizzativo, ma prima di tutto una dimensione etica e democratica del rapporto di lavoro. Crediamo fermamente che i lavoratori debbano essere attori nelle scelte che li riguardano, non meri esecutori. Partecipare significa avere voce, essere ascoltati, potersi assumere responsabilità e contribuire attivamente al successo dell’impresa e del Paese. La Legge 76 deve essere l’inizio di una nuova stagione. Su questo terreno dobbiamo lavorare insieme per dare più voce ai lavoratori e anche per rinnovare il sindacato stesso, rendendolo capace di rappresentare le istanze della modernità. È un’occasione storica per tutto il movimento sindacale: un fronte comune per portare democrazia economica nelle fabbriche e negli uffici, e costruire un modello di relazioni industriali al passo coi tempi.

L’intelligenza artificiale non è un destino già scritto: è una sfida che possiamo vincere mettendo in campo la nostra intelligenza collettiva. L’Italia ha le capacità per governare questa trasformazione, ma deve essere unita e lungimirante. Nessuna macchina può sostituire la passione, la creatività, l’umanità delle persone. Se sapremo valorizzare queste qualità e dargli protezione e spazio, l’innovazione tecnologica sarà davvero un motore di progresso.